La Diversità all’interno della DOP del Parmigiano Reggiano

Questo breve articolo vuole essere uno strumento per il consumatore per compiere scelte consapevoli quando acquista del Parmigiano Reggiano (PR). Stiamo parlando di un prodotto artigianale, di estrema qualità, dove ogni forma prodotta è diversa dalle altre.

Come vedremo in seguito ci sono piccole variazioni nell’operatività da parte dei produttori (chiamo produttori il sistema complesso di operatori del settore) che interagendo insieme creano l’unicità di prodotto che verrà immessa sul mercato.

La produzione di Parmigiano Reggiano (PR) è regolamentata da un ferreo disciplinare redatto dal consorzio di tutela “denominazione di origine protetta” (DOP) che, è un’organizzazione tra le più grandi al mondo è un sistema complesso fatto da territori, allevatori, caseifici, stagionatori e commercianti, organizzati in varie modalità.

Nella DOP operano circa 350 caseifici per un totale di 2250 allevatori che producono il latte; le bovine sono circa 245000, con una media di un centinaio di capi per ogni stalla.

La stagionatura può avvenire o direttamente nei caseifici di produzione del formaggio o presso grossi stagionatori che acquistano il formaggio da differenti caselli e lo brandizzano con il proprio marchio.

Il numero di produttori che realmente controllano l’intera filiera, cioè, dalla coltivazione dei campi di frumento, fino alla vendita al dettaglio sono in numero ancora molto esiguo purtroppo e questo è un grosso problema come verrà spiegato in seguito.

Il progetto di Italian Food Valley ha lo scopo di valutare chi sono quei pochi produttori che gestiscono l’intera filiera produttiva, scoprire i loro segreti e aiutare i consumatori a compiere scelte consapevoli in fase di acquisto.

Il processo per creare questo meraviglioso prodotto è relativamente semplice ma occorre sapienza per esprimere tutta la biodiversità che il territorio riesce a dare; il PR è solo il risultato finale di scelte fatte in campo durante l’intera filiera produttiva a cominciare dal nutrimento delle mucche fino al periodo e al luogo di stagionatura delle forme.

Questo mondo anche se estremamente “disciplinato” è molto “variegato”, perché fortunatamente ci sono alcune variabili che gli operatori del settore possono gestire per caratterizzare i loro prodotti; nelle stalle possiamo trovare foraggi provenienti da prato spontaneo, o da campi coltivati a erba medica nel caso di allevamenti di montagna si parla di foraggi freschi o essiccati ottenuti da sfalcio dei prati stabili polifiti, oltre a quello dei campi coltivati in altura naturalmente.

Le razze di bovine presenti nelle stalle sono: fassone, brune, bianche modenesi o rosse reggiane talvolta allevate insieme e talvolta invece allevate per tipologia di razza, perché, come è noto, razze diverse producono latte con caratteristiche organolettiche diverse e diverse rese quantitative.

Un altro aspetto da tenere in considerazione, che spiega la variabilità del formaggio è la gestione degli animali nella stalla, infatti, la cura del benessere dell’animale viene messo in atto costruendo stalle con spazi per il movimento e il pascolo, quando possibile, questa progettualità della stalla rende gli animali meno stressati e porta ad una produzione di latte qualitativamente migliore.

Per entrare un po’ più nello specifico in questo mondo inizio con la descrizione dell’organizzazione dei caseifici di produzione:

70 % sono cooperative di produttori di latte

19% caseifici di aziende agricole

11% caseifici che acquistano latte.

La scelta organizzativa del caseificio talvolta determina anche la diversa modalità del come e dove il prodotto è stagionato e le modalità della sua commercializzazione.

Di seguito analizzerò dei punti chiave nella filiera produttiva che determinano la varietà del prodotto che sarà messo in commercio e qualificano alcuni produttori rispetto ad altri:

1.Razza delle bovine

2.Altitudine dei campi e posizionamento delle stalle

3.Microclimi

4.Erbe e fieni

5.Persone e batteri

6.Tecniche innovative e tradizioni

La razza della bovina

La razza più diffusa è la frisona quella bianca e nera per intenderci che rappresenta per i molti la vacca per eccellenza è una razza di importazione è presente in gran numero in tutte le stalle perché è una mucca che produce molto latte, l’alta produttività del latte della bovina è andato a discapito di una riduzione nella concentrazione di proteine e grassi che sono i composti che di fatto creano il formaggio. Attraverso la selezione genetica, comunque, per alcuni allevatori è stato conveniente allevare frisone perché veniva ottenuta una buona resa casearia. Piano piano con la selezione genetica della frisona si è recuperato anche in termini di proteine e grassi rispetto a razze locali come la rossa reggiana e la bruna.

In ogni caso la rossa reggiana presenta come anche altre razze autoctone una particolarità della k caseina che possiede qualità casearie ottimali sia in fase di coagulazione che nella cagliata.

Il latte non è esclusivamente un prodotto che dipende dalla genetica della mucca e il formaggio non è il risultato dell’abilità del casaro.

 

Il territorio

Il PR è prodotto in una piccola parte dell’Emilia che comprende zone di pianura e aree appenniniche. La variazione altimetrica porta fasce distinte con essenze particolari di foraggio diverse a differenza delle alpi qui non c’è il pascolo libero in alta quota ma l’erba medica coltivata in zone montuose dell’appennino è preferita perché resiste meglio alla siccità rispetto alla pianura, naturalmente nelle zone montuose c’è una presenza di prati stabili ovvero agrosistemi con una elevata variabilità di essenze vegetali, in alcuni casi oltre 100 specie differenti in altre zone si possono trovare prati polifiti con poche essenze foraggere.

Alimentazione delle mucche che producono il latte

L’alimentazione delle mucche il cui latte è destinato alla produzione del Parmigiano Reggiano è composta da foraggi freschi o essiccati (fieni prevalentemente di prato stabile o di erba medica) della zona di origine.

Sono proibiti i foraggi fermentati in quanto portatori di batteri anti-caseari, ai quali per essere contrastati bisognerebbe utilizzare aditivi che sono proibiti dal disciplinare.

Assieme ai foraggi il regolamento di alimentazione prevede l’utilizzo anche di mangimi composti da cereali come mais, orzo, grano …..ma devono essere somministrati tal quali o schiacciati sottoforma di farine.

Questi mangimi apportano energia, proteine e vitamine specifici utili per sostenere lo sforzo per l’animale durante le varie fasi di gestazione del vitello.

L’utilizzo prezioso dei foraggi freschi ed essiccati che sono imposti dal disciplinare sono ottenuti dallo sfalcio dei prati stabili polifiti (antichi e mai arati da decenni ricchi di oltre sessanta essenze erbacee e di erba medica che insiste sullo stesso terreno anche 4 o 5 anni)

Questa pratica agronomica si contrappone alla coltivazione di mais da cui si ricavano gli insilati che sono proibiti nelle produzioni di PR con un importante ricaduta sulla sostenibilità della pratica agricola. Infatti, rispetto al mais le colture di prati stabili ed erba medica richiedono un minor impiego di acqua di irrigazione, nessuna distribuzione di antiparassitari, un ridottissimo uso di concimi chimici di copertura, il più delle volte sostituiti da concime organico, inoltre i prati stabili danno un enorme contributo alla diminuzione dell’erosione dei terreni.

Batteri e uomini

Oltre alla variabilità dei foraggi esistono ecosistemi batterici diversi il loro apporto sulla variabilità di gusto del prodotto finito e di grande rilievo. Infatti, ecotipi differenti di batteri possono influenzare il profilo gustativo del prodotto dando sfumature di gusto diverso. La diversità microbiologica è collegata ai foraggi quindi oltre al tipo di essenza erbacea al sistema di conduzione dei campi e alla bravura del coltivatore nel controllo della fienagione uomini e batteri, protagonisti delle diversità di gusto.

Stress psico fisco delle bovine e qualità del latte

La tipologia di allevamento in stalla influisce sullo stress psico-fisico delle bovine la stabulazione libera e elementi che limitano il caldo durante il periodo estivo sono elementi che migliorano i parametri qualitativi del latte. La stagione invernale è quella migliore per i bovini negli anni passati infatti il PR migliore era quello prodotto in inverno. Durante il periodo estivo gli animali assumono maggior quantitativo di acqua, che in parte diluisce il latte e quindi c’è bisogno di maggior attenzione da parte del casaro durante la lavorazione.

Dipendenza dalle Abilità del casaro differente qualità di formaggio

Durante il periodo estivo le bovine si nutrono di erba fresca in fioritura che danno al formaggio se opportunamente lavorato un sapore e delle fragranze diverse rispetto al prodotto invernale.

Le operazioni in caseificio sono condotte in maniera artigianale ad opera del casaro, uno dei processi più interessanti che diversifica il parmigiano reggiano sono le attività che vengono eseguite dopo la spinatura:

il controllo della giusta consistenza della cagliata e delle dimensioni dei granuli; in questi casi il fattore umano fortunatamente è molto importante.

Il casaro di fatto è una persona che tutto l’anno giorno dopo giorno con le proprie mani deve interpretare il latte.

Il latte non è tutto uguale giorno dopo giorno anche se proveniente dallo stesso allevamento, figuriamoci quando è proveniente da allevamenti diversi.

Naturalmente la tecnologia è entrata anche in caseificio; ci sono caseifici che si sono modernizzati in processi un po’ complicati come la “spinatura” (rottura della cagliata) cercando di dare omogeneità tra una forma e l’altra (forma dei coaguli più omogenee). Altri caseifici hanno scelto di continuare a fare la stessa operazione ancora manualmente per caratterizzare meglio ogni forma prodotta.

Ci sono casari che “spinano” fino alla forma del chicco di riso, ci sono casari che invece non lo fanno “spinando grande” asciugando di più i granuli successivamente.

Un’ altro aspetto dove la tecnologia può incedere è nella costruzione e gestione delle vasche di affioramento” della crema (panna) dove viene controllato il tenore di grasso; infatti, la quantità di grasso presente nelle caldaie ed in particolare il rapporto tra grasso nel latte e caseina incide sul gusto e sulla struttura del formaggio.

Fino ad ora purtroppo, circa l’80 % della produzione di parmigiano reggiano è venduta ad aziende che acquistano da più caseifici e stagionano, selezionano e confezionano il formaggio con il proprio marchio. Sono queste aziende che poi riforniscono la grande distribuzione ovvero le grosse catene di supermercati.

Spesso il prezzo del PR delle grandi catene distributive è piuttosto basso, inferiore al prezzo del PR comprato direttamente nel caseificio di fiducia.

Questo succede perché i supermercati adottano politiche di prezzo basso, spesso sottocosto del PR per attirare i clienti all’interno del supermercato e poi marginare su altri prodotti. Ottimo affare per il supermercato pessimo affare per i produttori e consumatori.

In un prossimo articolo cercherò di spiegare il perché si è arrivato a questo circolo vizioso e come è possibile trovare all’interno dei supermercati pezzi di PR anche di scarsa qualità e come invece un consumatore consapevole dovrebbe acquistare il Parmigiano Reggiano.

 

Il selezionatore di Parmigiano Reggiano di qualità

Lo scopo di Italian Food Valley è quello di scoprire e valorizzare i prodotti alimentari italiani ancora prodotti artigianalmente che esaltano le antiche tradizioni e la genuinità del cibo. Questa passione nasce dalla fusione tra la cultura culinaria italiana, la biologia e lo studio dei processi tecnologici alimentari per la produzione dei cibi.

Il tutto è cominciato parecchi anni fa quando, dopo la laurea in biologia ho vinto una borsa di studio all’università degli studi di Parma per frequentare un master in tecnologie alimentari.

Perché ho iniziato ad interessarmi in maniera approfondita al parmigiano reggiano?

Ritengo che il Parmigiano Reggiano sia uno dei pochi alimenti venduto ormai a livello globale, che viene ancora prodotto artigianalmente secondo un ferreo disciplinare e che riesce a valorizzare un vasto territorio all’interno dell’Emila e quindi è un prodotto italiano genuino che rende grande l’Italia nel mondo.

La cultura casearia oltre ad averla studiata all’università è entrata in famiglia perché la madre di mia moglie era figlia di un importante e rinomato casaro di Parma, oltre che un’operatrice casearia molto brava. Per questi motivi in casa mia, il Parmigiano Reggiano è un’istituzione, “una punta” deve sempre essere presente a tavola. “Guai che non sia di prima qualità”.

Nel tempo conoscendo sempre meglio il settore mi sono accorto che sotto il nome Parmigiano Reggiano DOP esistono prodotti estremamente diversi e a mio modo di vedere con differenti livelli di qualità.

Per questi motivi ho intrapreso questo viaggio in questo meraviglioso mondo iniziato come passione ma che piano piano si sta trasformando in un lavoro: cercare di scoprire, selezionare e valorizzare quelli che, secondo me, sono i migliori formaggi fatti nelle mie zone.

La produzione di questo formaggio ha una storia millenaria. I primi reperti storici dove si parla di produzione di formaggio nella zona risalgono al medioevo, i monaci, avevano imparato a produrre del formaggio che durasse nel tempo e potesse essere facilmente trasportato. Sono stati ritrovati degli atti notarili datati 1254 che testimoniano una transazione commerciale di “caseus parmensis”.

Il Parmigiano Reggiano è largamente conosciuto soprattutto per l’intenso lavoro eseguito negli anni dal consorzio di tutela del parmigiano-reggiano (anno di nascita 1934) nato appunto con lo scopo di tutelare la denominazione d’origine, agevolarne il commercio e il consumo ed aiutare i produttori a mantenere alti gli standard qualitativi.

Per capire veramente questo meraviglioso prodotto e quali sono le differenze che esistono all’interno di questo variegato mondo bisogna conoscere il territorio, frequentare i caseifici e le aziende agricole che allevano le mucche e mettere il naso nelle dinamiche commerciali che hanno permesso la diffusione di questo formaggio in tutto il mondo; purtroppo, questa diffusione ha avuto anche dei lati negativi come la creazione di brutte copie prodotte in altri paesi  che non hanno nulla a che fare con il prodotto originale.

Come accennato prima il parmigiano reggiano prodotto, è controllato e verificato dal consorzio di tutela che vigila, controlla e permette la marchiatura DOP, il consorzio vigila sul mantenimento della sua artigianalità ma fortunatamente non riesce ad omogeneizzare qualità. La qualità o, meglio, la diversificazione tra le diverse forme di parmigiano ha origine in ogni step della filiera produttiva a cominciare dal foraggio per nutrire gli animali che produrranno il latte.

In un prossimo articolo cercherò di spiegare meglio il perché esistono differenze tra ogni forma di parmigiano reggiano che viene prodotta sebbene siano tutte marchiate DOP.

Facendo un breve accenno, possiamo riassumere le diversità dipendenti dalla produzione foraggera, dalle modalità di stabulazione e alimentazione delle bovine e dalle diversità operative dei caseifici di produzione.

Conoscere i produttori scoprire le piccole le differenze nelle modalità di lavorazione, (sebbene regolamentate dal ferreo disciplinare) capire come la vecchia tradizione si mescola in modo sapiente con le nuove tecnologie e come i giovani allevatori riescono a valorizzare il proprio territorio mi ha dato lo stimolo per intraprendere questo viaggio.

In successivi articoli cercherò anche di spiegare la variabilità nella messa in commercio di questo prodotto che è diventato il “number one dei formaggi made in Italy”. A mio modo di vedere fino al recente passato la commercializzazione era in mano a pochi grandi grossisti e alla grande distribuzione organizzata che non è stata mai in grado di valorizzare il prodotto e soprattutto la sua filiera produttiva anzi alcune volte ha reso il lavoro dei produttori estremamente complicato.

Ferrari – Parmigiano Reggiano & Lamborghini – Prosciutto di Parma

L’Emilia-Romagna, è conosciuta nel mondo principalmente per due cose: i motori e il cibo. In questo articolo non parlerò di motori: parlerò del buon cibo emiliano.

La mia città, Parma, ha visto la nascita di alcuni dei più importanti brand legati al cibo, come Barilla, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma.

Le motivazioni per cui ho voluto scrivere questo articolo sono duplici, la prima è stata la mia personale scoperta che esiste il Parmigiano Reggiano di montagna, che è diverso dal più noto e conosciuto marchio Parmigiano Reggiano, il “fratello” di pianura; la seconda è stata che, viaggiando per lavoro e vacanza per il mondo ho potuto constatare che esistono molti fake di Parmigiano Reggiano, chiamati Parmesan o Parmesan Cheese, che fanno leva sull’Italian sounding ma che non hanno nulla a che fare con le fragranze e i sapori del Parmigiano Reggiano originale.

Il Parmigiano Reggiano ha origini antichissime: si racconta che nel Medioevo dei monaci benedettini producessero qualcosa di simile, dovendo trovare un modo per far durare il formaggio il più a lungo possibile; ma le prime testimonianze storiche di commercializzazione documentate sono del 1200 con un atto notarile in cui si parla di “caseus parmensis”.

Il marchio Parmigiano Reggiano come prodotto di montagna ha origini molto più recenti: è infatti in un decreto del 2013 con regolamento UE 1151/12, che compare la dicitura “Prodotto di Montagna” per classificare i prodotti alimentari aventi origine nelle aree di montagna dell’Unione Europea.

La nascita di questo brand aveva lo scopo primario di incentivare le persone a vivere nelle zone rurali degli Appennini, per preservare e curare il territorio e cercare di valorizzare il lavoro degli artigiani e contadini delle zone di montagna prospicenti la pianura padana, nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna.

Allevare il bestiame e raccogliere il foraggio in montagna è più faticoso e costoso rispetto alla pianura ed i produttori che già producevano formaggio in passato erano in difficolta dal punto di vista economico se confrontati con gli allevatori e casari di pianura; infatti creando il marchio si è potuto valorizzare le differenze reali che esistono nel prodotto di montagna rispetto a quello di pianura. Il microclima, con escursioni termiche notevoli, che incide durante le fasi di stagionatura del formaggio e la differente tipologia di foraggio che cresce in altura, unite alle abilità di alcuni casari, danno origine ad un prodotto molto diverso rispetto al “fratello” di pianura, producendo un prodotto unico ed eccezionale.

Per potersi fregiare del marchio blu stilizzato con le due montagne Progetto Qualità “prodotto di montagna”, il Consorzio Parmigiano Reggiano e i produttori devono attenersi alle ferree regole del consorzio:

– gli allevamenti dei produttori di latte destinato ad essere trasformato in formaggio che in seguito diventerà “Parmigiano Reggiano prodotto di montagna” devono essere all’interno delle zone di montagna;

– nell’alimentazione dei bovini da latte che è trasformato in formaggio atto a divenire “Parmigiano Reggiano prodotto di montagna”, il 60% della materia secca, su base annua, dell’alimentazione deve provenire da zone di montagna;

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